Diritto dei dati – I principi del GDPR

I principi del GDPR: liceità, correttezza, trasparenza, finalità, necessità, esattezza, minimizzazione, proporzionalità, precauzione, accountability.

Continuiamo a muovere lungo il GDPR e in particolare dobbiamo analizzare quelli che sono i cosiddetti principi che guidano il GDPR. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che sono i principi che il legislatore europeo ha voluto riconoscere, ha voluto utilizzare come guida, l’ispirazione della sua attività normativa che viene poi concretizzata nelle norme del GDPR ma che sono anche i principi che guidano poi l’esercizio di tutte le attività che il GDPR descrive. Quindi, di fronte a qualsiasi dubbio, a qualsiasi equivoco, a qualsiasi necessità di capire se, quando, come sono state rispettate le norme del GDPR, proprio attraverso il ricorso ai principi che ne guidano l’essenza, in qualche modo, la costruzione, possiamo capire se stiamo rispettando o meno le norme. Innanzitutto diciamo che questi principi generali in tema di trattamento si applicano nei confronti di coloro, di quei titolari che svolgono attività commerciali e professionali. Dei primi principi li troviamo nell’articolo 5 del GDPR che ne descrive una sorta di elenco. Un elenco abbastanza lungo che ci fa una serie di riferimenti da cui ricaviamo questi principi. E i primi sono indicati nella lettera a del primo paragrafo dell’articolo 5 che ci dice proprio in apertura che i dati personali devono essere trattati in modo lecito, corretto e trasparente.

Quindi i nostri primi tre principi da cui partiamo sono proprio la liceità, la correttezza e la trasparenza. La liceità è quella che richiede un discorso un po’ più ampio, perché il principio di liceità è ancorato a due requisiti alternativi che riscontriamo nell’articolo successivo, nell’articolo 6. L’articolo 6, infatti ci indica quali sono le cosiddette condizioni di liceità del trattamento. Abbiamo un elenco diviso in lettere, che però possiamo suddividere in due gruppi. Le condizioni fondate sul requisito di necessità, che sono quelle dalla lettera b alla lettera f, e poi la condizione del consenso che è quella della lettera a. Iniziamo quindi da quelle fondate sul principio di necessità del trattamento, quelli appunto dalla lettera b alla lettera f. Sono tutti esempi in cui il trattamento si considera lecito, quindi le condizioni di trattamento sono lecite per diversi motivi tra loro. La prima ipotesi è quella in cui il trattamento è necessario per l’esecuzione di un contratto di cui l’interessato è parte. Quindi noi per eseguire un contratto stipulato con interessati dobbiamo necessariamente eseguire questo trattamento. Quindi noi stipuliamo un contratto però, affinché questo contratto sia eseguito è fondamentale l’attività di trattamento dei dati personali: la necessità di questo trattamento, rispetto all’esecuzione del contratto che abbiamo stipulato, rende il trattamento lecito. Un’altra ipotesi è quella in cui il titolare deve adempiere ad un obbligo legale. Per esempio pensiamo agli obblighi di tenuta della contabilità o rispetto all’emissione delle fatture. Rispetto a questi obblighi un titolare del trattamento si trova di fronte alla necessità di eseguire il trattamento dei dati e quindi automaticamente questo trattamento sarà lecito proprio perché il titolare così come svolge il trattamento, deve al contempo adempiere ad un obbligo legale. Una terza ipotesi è quella della lettera d, che fa riferimento alla salvaguardia degli interessi vitali dell’interessato. Quindi quando è necessario salvaguardare gli interessi vitali, quindi proprio quelli che riguardano la sopravvivenza della persona, allora è lecito quel trattamento perché appunto è necessario per tutelare la sua vita. In questo caso per esempio possiamo pensare all’ipotesi di trattamento dei dati che sono necessari, e sono fatti relativamente recenti, per tenere sotto controllo la diffusione di un’epidemia, oppure nei casi di catastrofi naturali, di emergenze, rispetto alle quali la salvaguardia degli interessi vitali delle persone coinvolte può comportare anche il trattamento. Ancora lettera e, è necessario quando è svolto per l’esecuzione di un interesse pubblico da parte del titolare. E poi l’ultima ipotesi, quella della lettera f, è fondata la liceità sulla necessità del trattamento dei dati quando il trattamento deve essere effettuato per perseguire quello che è un legittimo interesse del titolare. L’importante in questo caso è che il legittimo interesse del titolare non si scontri con i diritti e le libertà fondamentali dell’interessato, soprattutto se l’interessato è un soggetto di minore età. Questa valutazione è particolare, molto particolare questa ipotesi di cui alla lettera f, perché il fatto che il legittimo interesse sia tale, in realtà è una valutazione che spetta al titolare stesso. Quindi è il titolare stesso a individuare l’ipotesi in cui ritiene che il suo legittimo interesse sia tale da giustificare il trattamento. Poi, ovviamente ex-post ci può essere un controllo rispetto alla liceità o meno di questo trattamento, però a monte è il titolare stesso che ritiene il suo legittimo interesse come non preponderante rispetto ai diritti, alla libertà dell’interessato e quindi tale da giustificare il trattamento stesso. Ciò che è importante è che comunque, tra titolare e interessato in questi casi vi sia un tipo di relazione che in qualche modo giustifichi questo trattamento, nel senso che renda questo trattamento attendibile, aspettabile da parte dell’interessato. Pensiamo per esempio a quei rapporti tra clienti e venditori e poi rapporti tra dipendente e datore di lavoro, sono dei rapporti in cui effettivamente l’interessato in questi esempi è il cliente o il lavoratore, si può ragionevolmente aspettare, attendere che il titolare e quindi nell’esempio, il venditore o il datore di lavoro, debba utilizzare quei dati personali e quindi appunto queste ipotesi possono permettere il trattamento perché fungono da condizione di liceità del trattamento stesso. Quindi questi esempi dalla lettera b alla lettera f dell’articolo 6 ci indicano delle ipotesi in cui la condizione di liceità del trattamento è la necessità del trattamento.

L’altra ipotesi, quella della lettera a, è invece la più diffusa perché è il consenso dell’interessato. Quindi l’articolo 6 lettera a ci dice che il trattamento è lecito quando c’è stato il consenso dell’interessato, che sia un consenso espresso per tutte le finalità che il titolare deve perseguire. Il consenso addirittura diventa l’unica fonte di liceità del trattamento quando i dati che vengono trattati sono i dati descritti dall’articolo 9 del GDPR. I dati descritti articolo 9 sono i cosiddetti dati particolari, sono un po’ l’evoluzione di quelli che più diffusamente venivano chiamati come dati sensibili. Il GDPR supera il concetto di dato sensibile, preferendo quello di dato particolare. Dati particolari quindi a questo punto sono in realtà facilmente immaginabili perché sono dati particolari le convinzioni religiose, le opinioni politiche, i dati genetici, i dati che rivelano l’origine etnica di una persona o quelli che ne rivelano l’orientamento sessuale o quelli relativi alla salute o insomma tutta una serie di dati estremamente connessi al nucleo più intimo della identità personale. Diciamo che il consenso e le altre condizioni di liceità fondate sulla necessità sono condizioni che possiamo considerare equipollenti nel senso che sono tutte condizioni di liceità del trattamento, sono infatti dei criteri alternativi: criterio del consenso e criterio della necessità. Ciò che cambia è che mentre quando un soggetto presta direttamente il consenso siamo di fronte ad una situazione in cui abbiamo una persona che opera autonomamente una scelta discrezionale, cioè quando io fornisco il consenso sto valutando tutti quelli che sono gli aspetti in gioco, gli interessi in gioco, faccio io il bilanciamento rispetto a se voglio prestare o meno il consenso perché deve essere un consenso informato, libero, specifico e inequivocabile, quindi la scelta discrezionale è totalmente mia. Invece quando siamo di fronte ai criteri fondati sulla necessità, quindi le condizioni di liceità fondate sulla necessità, lettere da b ad f, qui la valutazione non è discrezionale del singolo interessato perché appunto la necessità del consenso è valutata a monte dal legislatore che reputa quelle situazioni come idonee a rendere il trattamento lecito.

Ciò che comunque conta è che in entrambi i casi, sia quando siamo di fronte alle condizioni di liceità fondate sul consenso, sia alle condizioni di liceità fondate sulla necessità, stiamo comunque parlando di condizioni, nel senso di presupposti della liceità. Però ciò non vuol dire che il trattamento poi sia lecito del tutto, perché la liceità va considerata in una duplice accezione. La prima accezione è questa legata ai presupposti. Quindi tutti questi requisiti stanno ad indicare quelle che sono le condizioni senza le quali non si può nemmeno iniziare il trattamento, sono la conditio sine qua non del trattamento. Se non abbiamo questa queste condizioni proprio a monte il trattamento non potrà essere lecito. Però la liceità va anche considerata in accezione più ampia quindi una liceità cosiddetta a valle: se quindi a monte guardiamo le condizioni, a valle guardiamo in concreto quelle che sono le modalità in cui tutta l’attività viene realizzata e quindi qui entrano in gioco anche gli altri principi. Innanzitutto il principio di correttezza e il principio di trasparenza. I principi di correttezza e di trasparenza, in particolare all’articolo 5 sono posti allo stesso livello della liceità, quindi liceità, correttezza e trasparenza che devono caratterizzare il trattamento. Il principio di correttezza e il principio di trasparenza come si esprimono in concreto? Tipicamente la loro espressione avviene attraverso l’informativa. L’informativa che deve essere somministrata all’interessato in un senso che sia funzionale alla formazione del suo consenso, della sua volontà di procedere al trattamento dei dati, affinché questo consenso sia appunto consapevole, sia libero. E affinché il soggetto interessato sia reso edotto di tutte quelle che sono le caratteristiche di questo trattamento e tutti i diritti che gli sono riconosciuti in virtù di questo trattamento, quindi l’informativa ci dovrà spiegare come si svolge il trattamento, per quanto tempo dura, quali sono le finalità, in più mi deve anche dire quali sono i miei diritti e quindi pensiamo per esemprio al diritto di accesso, al diritto alla cancellazione dei dati. Quindi la logica dell’informativa che appunto esprime l’essenza dei principi di correttezza e trasparenza è una logica di permettere all’interessato di prestare un consenso che sia informato. La trasparenza peraltro è un principio che generalmente riguarda il tema della tutela dei dati personali un po’ da sempre, però soltanto con il GDPR è stato effettivamente esplicitato, quindi il GDPR in ciò scrive proprio, indica, formalizza, positivizza questo principio di trasparenza come principio guida dell’attività coinvolta al trattamento dei dati personali. La trasparenza in particolare riguarda le modalità con cui i dati vengono trattati e quindi con cui vengono raccolti, con cui vengono utilizzati, con cui vengono consultati, conservati. E’ poi un principio in forza del quale si impone al titolare di indicare tutte le informazioni che deve dare all’interessato e di dare ogni tipo di comunicazione rispetto al trattamento, in un modo che sia facilmente accessibile e comprensibile e in un modo che utilizzi un linguaggio chiaro e semplice. Proprio perché l’interessato è un po’ il soggetto debole di questo rapporto, perché è colui che sta fornendo i suoi dati personali, allora deve conoscere tutte le informazioni possibili sul trattamento nel modo più chiaro, semplice, intellegibile possibile.

Infine la trasparenza a livello di informativa la concretizziamo anche nell’obbligo del titolare di rendere nota la sua identità. Quindi quando dò il consenso al trattamento di dati personali devo effettivamente avere indicato chi è il titolare che si occuperà di questo trattamento e tutte quelle che saranno le finalità del trattamento. Diciamo poi che i confini concreti della correttezza e della trasparenza sono molto poco tracciabili, sono molto sovrapposti tra loro. La correttezza possiamo intendere in un senso più legato al comportamento corretto che il titolare deve avere nei confronti dell’interessato. La trasparenza forse ci riesce a descrivere meglio il fatto che c’è necessità di una massima comprensibilità di tutto ciò arriva nel trattamento mentre la correttezza può riguardare di più i comportamenti che in concreto il titolare tiene nei confronti dell’interessato.

Ovviamente tutti questi principi, appunto correttezza, trasparenza e anche liceità devono perdurare per tutto il rapporto, deve perdurare la concretizzazione di questi principi. Quindi proprio un riconoscimento dell’esigenza che tra titolare e interessato ci sia la massima lealtà nel senso che il titolare deve garantire all’interessato di essere munito di tutti gli strumenti necessari a comprendere le modalità del trattamento, ma anche gli effetti che il trattamento può avere su di lui. Quindi leale comportamento del titolare nei confronti dell’interessato si concretizza in tutto ciò che riguarda poi la possibilità dell’interessato di scegliere liberamente il trattamento e poi di controllarlo, così come la lealtà è anche dall’interessato nei confronti del titolare ad esempio nell’esercizio del diritto all’accesso. Il diritto all’accesso deve essere svolto sempre da parte dell’interessato, in un modo che non sia abusivo, altrimenti, appunto, anche qui la lealtà viene meno. Altro principio importantissimo è il principio di finalità. Il trattamento deve essere sempre finalizzato. Il principio di finalità pone un limite intrinseco proprio all’attività del trattamento, perché il trattamento dei dati deve sempre essere effettuato nell’ambito delle finalità che il titolare ha dichiarato di svolgere, di perseguire. E ovviamente non sono finalità che il titolare sa di voler svolgere, ma sono le finalità che nell’informativa ha dichiarato di voler svolgere, proprio perché tra le finalità che il titolare persegue e le finalità che il soggetto interessato conosce, ci deve essere massima corrispondenza. E anche qui ritroviamo la correttezza di prima. Se il titolare modifica le finalità, ne aggiunge delle altre, ne toglie alcune, deve sempre aggiornare l’informativa e renderne edotto il soggetto interessato. Però, appunto, a monte è necessario individuare delle finalità, usiamo quindi una logica preventiva perché fin dall’inizio devono essere indicate le finalità che si vogliono perseguire e attraverso l’indicazione di queste finalità noi andiamo un po’ a costruire un perimetro dell’attività del titolare, un perimetro dell’attività di trattamento. E ovviamente questo perimetro deve essere inequivocabilmente chiaro e definito, non ci deve essere il dubbio di interpretare in che modo la finalità verrà perseguita, non ci deve essere la possibilità che si creino degli equivoci rispetto a quelle che sono le finalità, tant’è che si parla di finalità costruite in un senso addirittura oggettivo, proprio perché devono essere completamente manifeste ed inequivocabili, proprio perché se così non fosse il soggetto interessato non potrebbe svolgere quell’attività di controllo che dicevamo gli viene riconosciuta.

Quindi questa attività continua nel tempo e io conosco le finalità perchè il titolare nell’informativa me le ha comunicate, però se nel tempo viene svolto ad esempio un cosiddetto trattamento secondario, quindi un trattamento ulteriore rispetto a quello che era stato indicato all’inizio e che quindi può perseguire delle finalità ulteriori, allora il titolare deve indicarlo e questo è un onere che il titolare ha sempre perché deve essere sempre corretto e trasparente nei confronti dell’interessato. E la logica è sempre quella di proteggere il più possibile l’interessato, perché a maggior ragione con il progressivo sviluppo delle tecnologie informatiche, rispetto a quando un soggetto magari ha fornito il consenso la prima volta, nel tempo è possibile che il titolare entri a disposizione di strumenti, di modalità attraverso cui può incidere, impattare in modo più forte, magari rispetto a prima sulla sfera individuale del singolo, può perseguire delle finalità in più per il tipo di attività che svolge quindi la tutela che in questo modo il nostro ordinamento, l’ordinamento europeo garantisce al singolo è una tutela di imporre progressivamente al titolare di essere trasparente rispetto alle finalità che vuole perseguire. Ovviamente questo per quanto riguarda l’ipotesi in cui le finalità cambino o nel caso in cui delle prime finalità se ne aggiungano delle altre. Nell’ipotesi in cui invece le finalità non sono nuove, né  cambiano, ma la finalità per cui l’interessato aveva inizialmente prestato il consenso non è più attuale quindi per esempio l’ipotesi in cui la lo scopo per cui venivano trattati i dati viene conseguito, allora in quel caso il trattamento che avviene dopo il conseguimento dello scopo che era stato dichiarato a quel punto diventa illecito: perché qui non stiamo parlando di un trattamento che si aggiunge, di finalità che si aggiungono e che vanno a completare quello inizialmente ammesso. Se siamo nell’ipotesi in cui lo scopo che era stato dichiarato è terminato, allora questo trattamento dei dati non può più continuare per finalità che vengono introdotte successivamente. Proprio perché non c’è più la condizione per il trattamento di quegli stessi dati, quel titolare non può riutilizzare i dati perché la finalità è conseguita, lo scopo è conseguito. Ovviamente alla conclusione, al raggiungimento dello scopo del trattamento, possiamo considerare equiparabili anche, ad esempio, una sopravvenuta carenza dell’interesse alla protrazione del trattamento o anche una qualsiasi insorgenza di una causa che renda addirittura illegittima la prosecuzione del trattamento.

Ovviamente a fronte di questi obblighi che sono posti a carico del titolare e quindi di rispettare le finalità del trattamento corrispondono i diritti e in questo caso è immaginabile il diritto alla cancellazione. Se per esempio valuto che il trattamento si sta perseguendo oltre le finalità indicate posso chiedere la cancellazione dei miei dati perché ricordiamoci sempre che se c’è un obbligo in capo ad una persona, proprio dal punto di vista di schema della norma, se si pone un obbligo a carico di uno, abbiamo sempre un diritto posto a carico dell’altro soggetto che ad esso si interfaccia. Quindi così come abbiamo l’obbligo delle finalità, abbiamo il diritto dell’interessato a chiedere la cancellazione.

In relazione a queste finalità, l’articolo 5, lettera b dice che le finalità oltre ad essere espresse devono essere legittime e questa legittimità andrà parametrata in funzione dello svolgimento di finalità che possano essere considerati apprezzabili da parte dell’ordinamento, dunque delle finalità dal contenuto positivo rispetto a quanto l’ordinamento naturalmente permette. Nella successiva lettera c ricaviamo il principio di necessità. La lettera c dice che è necessario che i dati abbiano un nesso di pertinenza e di adeguatezza rispetto alle finalità, cioè i dati che il trattamento utilizza, i dati che il titolare tratta sono dati che devono essere pertinenti e adeguati rispetto alle finalità. Quindi il principio di necessità è in senso ampio il principio per cui i dati trattati devono essere necessari per lo svolgimento del trattamento. In questo senso il principio di necessità ci fa intendere che non debbono essere raccolti dati eccedenti rispetto a quelli di cui il titolare ha bisogno. Quindi la logica, la ratio che il legislatore europeo persegue in questa indicazione è che la tutela della persona passa anche dalla riduzione quanto più possibile dei dati che vengono trattati rispetto a quella persona. Tutto ciò che non è necessario non deve essere trattato. In ciò possiamo dire quindi che la necessità descrive quello che viene definito in modo più dettagliato, in modo più specifico il principio di minimizzazione. Il principio di minimizzazione è proprio il principio in forza del quale i sistemi di trattamento dei dati personali devono ridurre al minimo l’utilizzo dei dati che servono. Quindi se lo stesso obiettivo lo posso raggiungere con meno dati o magari con dati anonimi o con degli pseudonimi o comunque con dei dati che non sono tali da ricondurmi direttamente all’interessato, allora devo farlo, io titolare devo rendere il trattamento il meno impattante possibile rispetto all’utilizzo dei dati che si vanno ad ad utilizzare. Non solo, a questo il principio di minimizzazione si affianca sempre il principio di esattezza. Il principio di esattezza lo ritroviamo sempre in questa lettera c, quando ci viene detto che i dati devono essere esatti. Cosa vuol dire che devono essere esatti? Vuol dire che devono essere sempre adeguati a descrivere, a rappresentare l’identità dell’interessato, quindi ciò vuol dire che devono essere anche aggiornati. Quindi l’esattezza include anche l’aggiornamento. Se dei dati non sono più idonei a descrivere, a rappresentare un certo individuo, allora non sono esatti. E quindi non possono essere più utilizzati proprio perché il titolare deve sempre trattare dati ridotti al minimo ma esatti, quindi perfettamente adeguati a descrivere il soggetto da tutelare. La differenza qual è tra questi due principi di minimizzazione e di esattezza: che la minimizzazione pone un limite all’attività del trattamento, perché dal punto di vista qualitativo e quantitativo pone proprio un limite di contenuto all’attività che il titolare svolge. Invece l’esattezza pone in capo al titolare non un limite, ma un onere e cioè l’onere di assicurarsi che ci sia sempre una fedeltà contenutistica delle informazioni che utilizza, cioè le informazioni che utilizza devono essere fedeli, rispondenti a rappresentare adeguatamente il soggetto. E quindi questo vuol dire non solo che questi devono essere fedeli all’inizio ma che anche nel tempo è necessaria una costante progressiva corrispondenza e quindi eventualmente una modifica, un aggiornamento, un’integrazione rispetto ai dati che ha nella sua disponibilità. Anche qui obbligo del titolare di rispettare l’esattezza dei dati, dall’altro lato diritto dell’interessato a chiedere la modifica, l’integrazione e l’aggiornamento dei suoi dati.

La necessità, oltre ad esprimere minimizzazione e esattezza, esprime anche quello che è stato definito il principio di precauzione. La precauzione è un’altra faccia della necessità laddove si richiede al titolare di valutare ex-ante, quindi a priori, che effettivamente il dato sia pertinente rispetto alla finalità. Ecco questa parola pertinente fonda questo principio di precauzione per cui il titolare ha l’onere, ha l’obbligo di accertarsi, di assicurare che i dati che chiede siano pertinenti rispetto al trattamento. Ancora sempre dentro la necessità si esprime il principio di proporzionalità, sempre legato alla quantità e alla qualità dei dati. Proporzionalità che diviene un canone proprio ermeneutico di tutta la disciplina. Peraltro la proporzionalità non riguarda solo il titolare, nel senso che il titolare è tenuto a ponderare l’utilizzo dei dati affinché questo utilizzo sia proporzionato alle finalità che che vuole perseguire ma addirittura con la proporzionalità andiamo ad individuare un canone ermeneutico che oltre a riguardare il titolare riguarda anche i legislatori nazionali. Ciò vuol dire che tutti i legislatori nazionali nel momento in cui intervengono rispetto alla disciplina dei dati personali per ciò che è oltre il GDPR (perché il GDPR è un regolamento, quindi i legislatori nazionali non lo possono modificare, né lo devono implementare a livello nazionale), però per qualsiasi aspetto che tratti i dati personali da un punto di vista di legislazione interna, quindi nazionale degli Stati membri, i legislatori devono sempre essere guidati da questa stella polare della proporzionalità rispetto all’utilizzo dei dati, perché dobbiamo sempre ricordarci che quando noi normiamo la disciplina dei dati personali dobbiamo sempre bilanciare l’obiettivo di tutela della persona con l’obiettivo di circolazione di dati da incentivare, favorire e promuovere nell’ambito di una economia di mercato che si fonda ormai quasi interamente sul digitale, quindi nell’ottica del funzionamento del mercato.

A chiusura dell’articolo 5 abbiamo la positivizzazione di ulteriori principi che sono in particolare il principio di integrità e di riservatezza e il principio di responsabilizzazione del titolare. Il titolare si deve occupare, deve far sì che i dati vengano posti in una condizione di adeguata sicurezza. Adeguata sicurezza vuol dire che devono essere conservati in un modo tale che consenta l’identificazione del soggetto interessato, per il tempo necessario al perseguimento delle finalità e nell’ambito di questa conservazione devono essere adottate tutte le misure necessarie a che non vi sia un trattamento illecito, una dispersione dei dati, la loro perdita, la loro distruzione, la loro cancellazione accidentale o comunque una qualsiasi forma di data breach, quindi di ingerenza di terzi rispetto ai dati detenuti dal titolare. Quindi quando l’articolo 5 dice che questa sicurezza che il titolare deve garantire deve essere adeguata, il concetto di adeguatezza delle misure di sicurezza adottate è un aspetto che riguarda innanzitutto proprio la pretesa nei confronti del titolare. E in secondo luogo ovviamente proprio la considerazione delle misure tecniche organizzative che il titolare pone in essere. In generale il titolare deve adottare le migliori misure possibili contestualizzate alla sua situazione perché ovviamente implementare delle misure di sicurezza dei dati ha un costo. Quindi anche l’adeguatezza la dobbiamo considerare in base al soggetto che è chiamato a porre in essere queste misure di sicurezza in relazione ai costi, in relazione alle possibilità e anche in relazione allo sviluppo tecnologico perché lo sviluppo tecnologico è a sua volta un parametro di sicurezza: magari determinate misure che oggi sono considerate ottimali per proteggere i dati personali nel tempo diventano meno forti, più accessibili più by-passabili magari da esperti di questo tipo di attività. E poi appunto anche lo sviluppo tecnologico oltre ai costi, alle possibilità, è un parametro per valutare l’adeguatezza delle misure che sono scelte dal titolare del trattamento per proteggere i dati. Ciò che emerge un po’ da queste battute su questa parte finale l’articolo 5 è che il GDPR spinge molto per una responsabilizzazione del titolare, quindi il titolare non può ricevere questi dati, trattarli, poi quello che succede succede. Il titolare risponde proprio di tutte le attività che riguardano i dati quindi non soltanto quelle più strettamente legate ad un utilizzo dei dati ma anche alla loro appunto protezione e in questo senso quindi il titolare viene onerato con un obbligo positivizzato di occuparsi sempre di limitare al minimo i rischi che gli interessati corrono una volta che permettono il trattamento dei loro dati personali. La logica è quella di rendere il titolare soggetto responsabile, nel senso di soggetto proattivo, allo sviluppo di ogni attività che sia idonea a garantire la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche. Perché se io proteggo i dati personali della persona stò proteggendo ovviamente le sue libertà individuali.

Ecco, quindi, che il titolare è tenuto ad adottare tutte le garanzie indispensabili, a utilizzare, a implementare tutte le misure tecniche e organizzative idonee a assicurare la tutela dei dati delle persone fisiche. E ovviamente nel far ciò si dice che deve predisporre delle misure di tutela tecniche, organizzative, giuridiche. Già dall’utilizzo di questi termini riscontriamo come sia un tipo di contesto in cui effettivamente è necessaria la presenza di diverse figure che si occupano di questa attività di controllo del rischio da parte del titolare, proprio perché serve una visione integrata che tenga conto di tutti gli aspetti che vengono toccati dal trattamento, quindi da quelli più strettamente informatici a quelli di attività svolta dal titolare e magari anche quelle appunto più strettamente legali. Ovviamente questa sicurezza deve essere garantita nel tempo, quindi anche questo principio diventa un principio che permea l’intero rapporto perché deve essere garantita in ogni fase dell’attività di trattamento, quindi da intendersi un principio che si sviluppa in senso dinamico, deve essere ridefinita questa adeguatezza delle misure adottate nel tempo in base a quelle che sono le spese da sostenere e i progressi sotto il punto di vista tecnico. Ciò vuol dire che il titolare è tenuto a monitorare nel tempo, ad un’attività di monitoraggio per accertarsi di aver adottato le misure più adeguate, proporzionate in relazione ai rischi perché i rischi anche sono in continuo mutamento. Ciò che è importante è che esprime ancor di più la responsabilizzazione che viene fatta del titolare e che il titolare deve essere addirittura in grado di dare prova in ogni momento di aver rispettato queste regole. Quindi serve anche una formalizzazione da parte del titolare di tutte le attività che svolge per assicurarsi di aver posto in essere le migliori misure possibili. Perché gli può essere richiesto di dimostrare di aver attuato la disciplina GDPR al 100%. In questo senso il principio di responsabilizzazione rispetto al quale vengono svolte tutte le attività di cui sopra viene in qualche modo riportato nel termine della cosiddetta accountability. Si parla di accountability proprio con il termine inglese perché è qualcosa che va oltre la responsabilità, cioè non solo il titolare è responsabile ma in più è tenuto a questo ruolo, a questa funzione proattiva di tutela che insieme possono essere descritti con questa accountability, proprio perché accountability significa rendere conto. Quindi il titolare rende conto sia dal punto di vista di responsabilità sia dal punto di vista di attività che è chiamato a svolgere, quindi l’accountability proprio come un termine che va a permeare tutte le politiche, le procedure, l’agire del del titolare che deve sempre porre in essere questa attività di controllo di gestione e di prevenzione del rischio nello svolgimento del trattamento.

Rispetto all’accountability del titolare emergono, rilevano, due istituti particolari che sono introdotti dal GDPR. Che sono a loro volta l’espressione non solo del principio di responsabilizzazione, dell’accountability del titolare ma anche della minimizzazione che abbiamo visto prima, quindi della necessità. Questi istituti sono due. Il primo è espresso dall’articolo 35 del GDPR ed è la valutazione di impatto. La valutazione di impatto deve essere eseguita, è una valutazione preventiva di impatto, deve essere eseguita ogni volta che il trattamento dei dati personali – di cui bisogna verificare la proporzionalità rispetto alle finalità – presenti dei rischi elevati per i diritti e le libertà delle persone fisiche. Quindi ogni volta che è possibile che ci sia un rischio particolarmente elevato per i diritti e le libertà delle persone fisiche, allora è necessario preventivamente fare questa valutazione di impatto. E se la valutazione di impatto ci dice che effettivamente il rischio che l’interessato corre è particolarmente elevato e le misure adottate dal titolare possono non essere in grado di tutelare l’interessato in modo nel modo opportuno, allora, prima di eseguire il trattamento, il titolare è tenuto a consultare l’Autorità Garante, il Garante per la Protezione dei Dati Personali. Quindi la valutazione di impatto come istituto nuovo introdotto dal GDPR con cui prevenire i rischi che l’interessato può correre in considerazione del trattamento che il titolare vuole svolgere.

Oltre alla valutazione preventiva di impatto, un’altra espressione della dell’accountability è quella che riscontriamo nei metodi cosiddetti di privacy by design e privacy by default, espressi dall’articolo 25 del GDPR. Privacy by design vuol dire protezione fin dalla progettazione, mentre privacy by default vuol dire protezione dei dati per impostazione predefinita. Sono dei metodi di tutela dei dati che il titolare è tenuto ad esercitare nel senso che deve far sì che il trattamento per come è impostato (impostazione predefinita) o per come progettato proprio fin dall’inizio, sia strutturato in un modo tale da impedire o comunque da limitare il più possibile il rischio di un trattamento che non protegga i dati personali. Ovviamente pure qui rientriamo nei principi citati in precedenza. Per esempio facciamo ipotesi di privacy by design, quindi protezione dei dati fin dalla progettazione, come faccio ad assicurarmi di proteggerli al meglio facendo sì che io utilizzi soltanto i dati pertinenti, soltanto i dati necessari, quindi rispettando il principio di minimizzazione, il principio di proporzionalità e principio di necessità al massimo? Sto rispettando la proporzionalità, nel senso che li utilizzo soltanto per il periodo di tempo determinato? Insomma, nel momento in cui sto rispettando tutti questi principi li concretizzo nella progettazione del mio sistema di trattamento e quindi progetto l’attività di trattamento privacy by design, dal design, della progettazione dell’attività di trattamento in modo tale da concretizzare proprio tutti gli obblighi che il GDPR mi pone come titolare. Peraltro, nel momento in cui, nonostante io abbia adottato tutte le misure più adeguate possibili, io titolare mi rendo conto che è avvenuta una violazione dei dati, ho addirittura l’obbligo della cosiddetta data breach notification. Quindi ho l’obbligo di notificare l’avvenuta violazione al Garante e l’obbligo di comunicare l’avvenuta violazione agli interessati. Lo stesso soggetto che tratta i dati rispetto ai quali si è verificata la violazione ha l’obbligo di rendere nota questa notizia sia al Garante così che possa intervenire, sia agli interessati. Peraltro in tutto questo ambito entra in gioco anche un altro soggetto che affianca il titolare che è nominato con l’acronimo di DPO che sarebbe il Data Protection Officer. Questo è un soggetto che tra le varie funzioni che ricopre con riferimento all’implementazione di tutte le regole del GDPR è incaricato in particolare proprio di verificare che il rispetto della normativa privacy sia costante, sia continuo da parte del titolare e infatti è un soggetto che poi si occupa anche di svolgere attività di rapporto, di contatto tra il titolare e l’autorità di controllo e il garante, proprio perché ha questo ruolo di verificare in concreto il rispetto della normativa.