Diritto dei dati – I diritti dell’interessato

I diritti dell’interessato: accesso ai dati, rettifica dei dati, cancellazione dei dati, oblio, limitazione del trattamento, portabilità dei dati, opposizione al trattamento.

Passiamo a vedere quali sono i diritti dell’interessato che fanno un po’ da contraltare rispetto a quelli che sono gli obblighi dei titolari del trattamento proprio perché tutti i vari obblighi poi vanno a specificarsi nei diversi diritti che vengono riconosciuti, guardiamo agli articoli da 15 in poi del GDPR e in particolare il diritto di accesso ai dati personali, il diritto di rettifica, di integrazione, di cancellazione e che sono diritti un po’ più noti anche nella disciplina della privacy precedente e poi in particolare il diritto all’oblio e il diritto alla portabilità dei dati sono invece dei diritti di introduzione recente perché sono del GDPR stesso. Nel complesso quello che ci interessa è avere chiaro che tutti questi diritti in modo appunto complessivo vanno a rendere esercitabile in concreto il più ampio diritto all’autodeterminazione per quanto riguarda il controllo, il trattamento, la protezione dei dati personali, quindi in generale parliamo di autodeterminazione rispetto alle proprie informazioni. Iniziamo con l’accesso, l’accesso di cui all’articolo 15 del GDPR. L’accesso come già dal nome possiamo facilmente intuire è volto ad accedere, a reperire, a ottenere delle informazioni. Informazioni rispetto alle finalità del trattamento, alle categorie di dati che vengono trattati (sono dati comuni o se sono i dati particolari dell’articolo nove), informazioni rispetto al soggetto titolare del trattamento, al periodo per cui è previsto il trattamento dei dati o informazioni rispetto ai propri diritti. Banalmente un interessato che non conosce quali sono i propri diritti perché non conosce la normativa ha diritto di accedere a queste informazioni, di chiederle al titolare, o ancora importante il diritto a conoscere se delle proprie informazioni saranno utilizzate per attività interamente automatizzate, ovvero i processi decisionali automatizzati. La logica è sempre quella di garantire che il soggetto interessato al trattamento dei propri dati possa nel tempo mantenere un controllo, anche dopo che il trattamento è iniziato e quindi, per esempio, verificare se effettivamente le condizioni di liceità del trattamento perdurano, se il soggetto titolare sta rispettando le finalità che aveva dichiarato e così via.

Proprio perché riguarda il mantenimento del controllo rispetto alle proprie informazioni, il diritto all’accesso è un diritto che possiamo esercitare sempre. Quindi non è possibile un rapporto tra titolare e interessato in cui il diritto d’accesso sia subordinato, ad esempio, ad un certo tempo. Posso chiedere l’accesso in qualsiasi momento per cui perduri il trattamento. Questa logica è fondamentale proprio perché in ogni momento si ha diritto di conoscere come si sta svolgendo questo rapporto che riguarda il trattamento dei nostri dati e poi perché l’accesso tra tutti i diritti è un po’ il diritto che viene esercitato in apertura, l’accesso in qualche modo è strumentale all’esercizio dei diritti successivi, perché se voglio esercitare il diritto alla cancellazione magari prima esercito un accesso per conoscere meglio le dinamiche e poi valuto che effettivamente voglio procedere alla cancellazione di dati. Quindi nessun vincolo temporale. E poi l’altra cosa importante è che nel momento in cui lo esercito, il titolare mi deve rispondere innanzitutto entro un tempo ragionevole quindi così come io interessato non ho limiti di tempo per fare la richiesta, dall’altra parte invece il titolare ha dei limiti di tempo per rispondere alla mia richiesta. Si dice entro un termine ragionevole, ovviamente in considerazione delle tecnologie a disposizione del titolare e delle sue esigenze organizzative, però deve farlo entro un tempo appunto ragionevole, al più tardi entro un mese dalla richiesta. Questo periodo di un mese può essere anche prorogato fino a un massimo di due mesi, purché il titolare, quindi questo è fondamentale, purché il titolare comunichi all’interessato il ritardo, quindi la necessità di questa proroga che deve essere effettivamente necessaria al titolare e quali sono le ragioni che la rendono necessaria, quindi deve essere trasparente al massimo rispetto al motivo per cui questa risposta esiterà ad essere fornita all’interessato proprio perché la regola sarebbe che deve farlo entro un tempo ragionevole e senza ingiustificato ritardo. Per quanto riguarda poi la forma di questa risposta, la forma di questa risposta è libera, le informazioni che il titolare fornirà all’interessato possono essere fornite in qualunque forma, quindi sia cartacea, telematica o che sia in formato audio o che sia in formato video, purché la forma in questione sia intellegibile. Inoltre, oltre al limite diciamo della intellegibilità, l’altra caratteristica fondamentale delle informazioni che vengono fornite a seguito di accesso è che devono essere fornite in modo completo e chiaro.

Di regola, l’esercizio dell’accesso non prevede un pagamento. Per evitare però che un interessato possa abusare del diritto che ha di accedere alle informazioni, allora di fronte ad una richiesta reiterata delle informazioni, il titolare può richiedere, può addebitare un contributo di spese all’interessato, e sarà un contributo che ovviamente dovrà essere parametrato in base ai costi amministrativi necessari all’adempimento della richiesta e quindi per giudicare che questi costi richiesti siano corrispondenti a quanto effettivamente ammonta l’onere amministrativo in questione, bisogna anche documentare queste spese. Quindi di regola non si paga nulla però, purché siano documentati e di fronte a richieste reiterate è possibile addebitare il costo dell’accesso. Ultimo aspetto legato all’accesso è che l’esercizio dell’accesso è subordinato dall’articolo 15 alla identificazione dell’interessato, quindi il titolare deve poter identificare il soggetto interessato. Oltre a dare le proprie generalità per il resto l’interessato non deve addurre nessun tipo di motivazione, quindi qualunque sia il motivo per cui sto esercitando l’accesso non devo giustificarmi con il titolare, lo esercito senza dover motivare il perché della mia richiesta. Se ponesse degli ostacoli, se ponesse limitazioni rispetto all’esercizio dei suoi diritti allora andrebbe contro a quel principio di correttezza già trattato. Quindi qui ritroviamo un’altra concretizzazione del principio della correttezza che è proprio quella da parte del titolare di permettere all’interessato di esercitare nel modo più semplice possibile i suoi diritti. Le stesse regole legate ai tempi di esercizio del diritto e di risposta da parte del titolare, valgono per l’accesso e valgono anche per i diritti di integrazione, di rettifica (articolo 16 del GDPR). Questi diritti sono dei diritti che in qualche modo vanno a tutelare in modo più specifico, più mirato, il diritto all’identità personale dell’interessato perché la rettifica e l’integrazione sono dei diritti che permettono attraverso il loro esercizio di contestualizzare, di completare, di aggiornare le informazioni che compongono la rappresentazione verso l’esterno della persona e quindi in questo modo rendere questa rappresentazione pienamente aderente alla realtà attuale di quel soggetto e quindi a tutelarne l’identità personale. Perché la logica è che se rispetto alla mia identità personale, la rappresentazione che si fa della stessa è una rappresentazione che si basa su informazioni incomplete o informazioni non aggiornate, allora la rappresentazione che esce fuori della mia persona è una rappresentazione falsata, non corretta e quindi lesiva della mia identità personale. Attraverso l’esercizio del diritto alla rettifica e all’integrazione si interviene proprio da questo punto di vista e quindi si ricostituisce con il maggior grado possibile di accuratezza la mia rappresentazione perché andiamo a completare tutte le informazioni che non dovessero essere aderenti. Quello che dobbiamo sempre pensare è che tutto ciò che è incompleto in questo tipo di contesto, inesatto, poco chiaro, rende l’informazione in qualche modo falsata e in generale la logica è sempre quella per cui l’informazione falsata può divenire in determinati modi lesiva della nostra identità personale.

In modo complementare a questi diritti di accesso, rettifica, integrazione è la cancellazione e l’oblio, siamo nell’articolo 17. Se io interessato mi rendo conto che sono di fronte a determinati motivi che l’articolo 17 mi elenca, posso chiedere la cancellazione dei dati che mi riguardano. Alcuni esempi sono per esempio il fatto che quei dati non siano necessari alle finalità che il titolare sta perseguendo e qui stiamo concretizzando per esempio il principio di minimizzazione, oppure i dati che ho fornito non sono necessari davvero alle finalità che il titolare persegue, quindi li cancello perché non li servono. Ancora, il trattamento ha come condizione di liceità il mio consenso, io revoco il mio consenso, quindi viene meno la condizione di liceità, chiedo la cancellazione. Oppure scopro che il trattamento dei dati si sta realizzando in modo illecito e quindi chiedo la cancellazione; tutta una serie di motivi per cui posso chiedere la cancellazione. Però proprio perché ci sono delle situazioni in cui mi devo trovare, riguardo alla cancellazione non siamo di fronte ad un diritto esercitabile senza motivarlo, proprio perché è necessario ritrovarsi in determinate situazioni che appunto l’articolo 17 ci elenca. Peraltro anche quando la nostra richiesta è fondata, la cancellazione, nel senso di distruzione di dati, non è l’unico modo in cui si può soddisfare la richiesta dell’interessato perché sicuramente la distruzione dei dati che sono nella disponibilità del titolare è un primo modo, però sono idonei a soddisfare il diritto di cancellazione anche altre attività, in particolare la anonimizzazione dei dati, qualsiasi attività che renda impossibile reidentificare il soggetto. Quindi cancellare questi dati non è l’unica cosa che il titolare può fare, ma lo stesso scopo si può raggiungere anche rendendo anonimi questi dati con le tecnologie a disposizione, purché appunto sia fatto in un modo tale da rendere impossibile che i dati anonimi che restano, permettano di reidentificare il soggetto a cui si riferivano. Tant’è che mentre la anonimizzazione è possibile perché caratteristica della anonimizzazione è proprio questa scissione in qualche modo definitiva tra informazione e persone a cui si riferiscono, d’altra parte lo stesso scopo non si potrebbe raggiungere con la pseudonimizzazione, quindi con l’attribuzione ai dati di uno pseudonimo, pseudonimizzazione dei dati. Proprio perché nella pseudonimizzazione, rispetto alla anonimizzazione dei dati, non c’è questo elemento di definitività, perché se attribuisco uno pseudonimo rispetto ad un dato, in un secondo momento potrei di nuovo identificare il soggetto, invece se lo rendo anonimo automaticamente non posso reidentificare la persona a cui si riferivano. Quindi la cancellazione si può realizzare in tutti i modi con cui rendo irreversibile il collegamento tra un dato, un’informazione e una persona. Ovviamente anche qui teniamo sempre conto che a tutela del titolare vige sempre il principio di proporzionalità, per cui tutte queste attività si possono pretendere nella misura in cui il titolare abbia poi la possibilità a livello di costi, di tecnologie e di organizzazione propria, per soddisfare la richiesta. Ovviamente nel caso in cui il titolare aveva anche trasmesso a dei terzi i nostri dati di cui chiediamo la cancellazione, quindi rispetto ai quali esercitiamo il diritto alla cancellazione, il titolare dovrà rivolgere anche a questi terzi l’indicazione rispetto alle attività che ha svolto per la cancellazione e quindi questi terzi che avevano ricevuto i nostri dati saranno tenuti a fare altrettanto.

Nella pratica quello che succede è che il soggetto interessato spesso e volentieri esercita il diritto alla cancellazione principalmente in casi in cui si rende conto che il trattamento viene realizzato in assenza di un fondamento, in assenza di una condizione di liceità. In tutti questi casi il titolare può effettivamente rispondere anche in modo diverso rispetto all’accoglimento della richiesta, ad esempio il titolare potrebbe non accogliere la mia richiesta e dimostrare che il fondamento giustificativo del trattamento sussiste perché siamo nelle condizioni di liceità dell’articolo sei, e allora potrebbe respingere la nostra richiesta e quindi continuare il trattamento, verificando che effettivamente la richiesta non sia fondata.

L’articolo 17 fa anche riferimento al diritto all’oblio. Il diritto all’oblio è un diritto di nuova introduzione nel GDPR. È un diritto che conosciamo già da prima però se ne parla per la prima volta a livello normativo nel contesto del trattamento dei dati. Quindi noi conoscevamo già il diritto all’oblio con riferimento alla tutela di quella che oggi chiamiamo riservatezza, la privacy intesa come riservatezza. Con il GDPR a livello normativo entra in gioco l’oblio anche rispetto al trattamento dei dati. Sottolineo a livello normativo perché, come vi dico tra poco, la giurisprudenza aveva iniziato già a toccare questo aspetto. Allora in generale mi pare che lo avessimo già accennato nella prima lezione, il diritto all’oblio è il diritto ad essere dimenticati. Quindi il diritto di una persona a chiedere che determinate notizie sul suo conto, trascorso un certo periodo di tempo, vengano cancellate. Perché? Perché ormai risultano dimenticate o comunque sconosciute, ignote alla generalità dei consociati e quindi non c’è più interesse a venirne a conoscenza. Quindi anche delle notizie che tempo addietro erano state legittimamente divulgate, erano state pubblicate in un certo momento storico in modo del tutto legittimo, tempo dopo si può richiedere che vengano cancellate proprio perché non rivestono più un interesse, non hanno più interesse ad essere conosciute. Ed essere conosciute vuol dire ad essere divulgate attraverso i circuiti dell’informazione che un tempo erano soltanto i giornali o al massimo la televisione, ormai anche e quasi principalmente su internet. Quindi il criterio principale, sicuramente per verificare la fondatezza della richiesta di esercitare il diritto all’oblio è il trascorrere del tempo. Quindi è necessario che sia trascorso un tempo tale che abbia fatto perdere rilevanza alla notizia. A meno che poi non siano nel frattempo emersi dei fatti nuovi o comunque determinate dinamiche che in qualche modo riescono ad integrare il quadro che si era delimitato anni addietro, tempo addietro. Però a meno che non ci siano questi fatti nuovi o comunque questi aspetti che un tempo non erano noti allora diciamo effettivamente passato un certo periodo di tempo si può dire che la notizia non sia più di interesse per la collettività. 

Un altro diritto è quello alla limitazione del trattamento. Il diritto alla limitazione del trattamento è previsto dall’articolo 18 del GDPR. Ed è un diritto che può essere esercitato soltanto nei casi indicati dall’articolo 18 che sono quattro. Sono quindi delle ipotesi tassative. Vuol dire che non sono degli esempi di situazioni in cui può essere esercitato, ma sono proprio le uniche ipotesi in cui si può esercitare la limitazione. La prima ipotesi è quella in cui l’interessato contesta l’esattezza dei dati, quindi sostiene che i dati non siano esatti, i dati sul suo conto, e quindi per il periodo necessario a verificare l’esattezza o meno di questi dati, il titolare per rispondere al diritto di limitazione, sospende – limitazione nel senso di sospensione in questo caso – sospende il trattamento. Una seconda ipotesi, quella alla lettera b dell’articolo 18, è quella situazione in cui il trattamento risulti essere illecito, però l’interessato chiede al titolare di limitare l’utilizzo dei dati ma comunque di non interrompere definitivamente il trattamento. Quindi evidentemente sono situazioni in cui il trattamento si rivela essere illecito però l’interessato ha comunque dei motivi per preferire che il trattamento continui seppur in modo limitato e quindi chiede la limitazione ma anche la prosecuzione del trattamento stesso. Una terza ipotesi, lettera c dell’articolo 18, è quella in cui i dati non sono più necessari al titolare, però di nuovo l’interessato chiede che ci sia una limitazione del trattamento alla sola conservazione dei dati perché evidentemente questa conservazione gli serve per l’accertamento o l’esercizio dei suoi diritti in sede giudiziaria. Quindi se magari quei dati li devo utilizzare perché mi servono in sede giudiziaria allora chiedo che seppure il titolare non abbia più motivo per trattare i dati, comunque limiti il trattamento alla sola conservazione e li conservi così che io li possa utilizzare in sede giudiziaria. Poi ultima ipotesi, quella della lettera d, in cui l’interessato si oppone al trattamento che è necessario per un legittimo interesse del titolare e quindi, in questo caso (come nel primo, quello della lettera a), il titolare limiterà il trattamento nel periodo che è necessario a verificare che il suo legittimo interesse prevale sull’interesse del soggetto i cui dati personali vengono trattati. Ora da questa descrizione si capisce che le ipotesi più simili tra loro sono la prima e l’ultima e le due in mezzo. Perché la prima e l’ultima si coglie la loro natura cautelare. La logica è impedire la prosecuzione del trattamento per il periodo necessario all’accertamento di una situazione che è invece incerta: prima ipotesi quella dell’esattezza dei dati o meno, secondo ipotesi quella della necessarietà o meno del trattamento per legittimo interesse. E quindi per il periodo di tempo, per questo si parla di natura cautelare, per il periodo di tempo necessario all’accertamento di queste situazioni si limita il trattamento alla sola conservazione. Poi nel caso in cui si rileva che i dati sono esatti o il legittimo interesse del titolare prevale su quello dell’interessato, allora il titolare ne darà comunicazione all’interessato e riprenderà il trattamento così come lo svolgeva prima. Invece, nel caso in cui la verifica rispetto all’esattezza, rispetto alla prevalenza dell’interesse, dia ragione all’interessato allora poi l’interessato potrà chiedere la cancellazione dei dati o potrà insomma decidere come procedere. Nei casi invece delle lettere b e c, e quindi quelle riguardanti le richieste dirette di limitazione da parte del dell’interessato (nel primo caso abbiamo detto anche se il trattamento è lecito e nel secondo caso abbiamo detto quando i dati serve che siano conservati perché il soggetto interessato li utilizzi in sede giudiziaria), allora in questi casi finché perdura la limitazione, i dati saranno comunque trattati dal titolare, quando poi finisce questo periodo, allora si procederà alla cancellazione di questi dati. Nel primo caso, perché il trattamento è illecito, quindi comunque l’illiceità del trattamento comporta la cancellazione, nel secondo caso perché il trattamento non è più necessario e quindi si procede alla cancellazione. Ciò che rileva però è che comunque ci si debba trovare in una di queste quattro ipotesi, non è possibile chiedere la limitazione del trattamento per ipotesi diverse da queste quattro. Quindi l’interessato potrà richiederlo in queste quattro ipotesi che però non deve descrivere. Quindi la richiesta deve partire dall’interessato che però non deve dire “mi sto ritrovando nell’ipotesi della lettera a, b, c o d”, deve semplicemente avanzare la richiesta. Poi, se il titolare non vuole soddisfare queste richieste, sarà lui a dover dimostrare che non si è all’interno del perimetro delineato dall’articolo 18 e quindi risponderà che non intende procedere alla limitazione del trattamento, dando dimostrazione dell’infondatezza della richiesta perché non aderente all’elenco dell’articolo 18. Quando invece deve soddisfare la richiesta come lo fa? Da un punto di vista tecnico quello che deve fare, quello che deve svolgere, è un’attività di contrassegno dei dati, deve in qualche modo imprimere sui dati interessati dalla richiesta un vincolo di inutilizzabilità, cioè questi dati devono dal punto di vista tecnico non essere più utilizzati, né essere considerati utilizzabili e si dovrà limitare alla loro conservazione. Diciamo che questa marcatura, questo contrassegno dei dati interessati dalla richiesta può avvenire poi in qualsiasi modo, sta al titolare individuare il modo in cui limiterà il trattamento. Quindi ad esempio, li può trasferire in un sistema di trattamento diverso da quello dove sono, oppure li può rendere inaccessibili, oppure li può rimuovere. Insomma, il modo in cui lo fa è nella sua discrezionalità, purché appunto soddisfi la richiesta, ovviamente sempre con il solito principio di proporzionalità, nei limiti di quanto gli è possibile in base ai costi che questa operazione comporta, in base alle sue tecnologie a disposizione.

Altro articolo che come l’oblio è stato introdotto nel GDPR per la prima volta è il diritto alla portabilità dei dati. Il diritto alla portabilità è un diritto che forse più di tutti esprime quella doppia anima del GDPR e cioè di tutela contestuale della persona nella rappresentazione della identità personale attraverso i dati e contestualmente tutela del mercato attraverso la circolazione dei dati. Perché il diritto alla portabilità è proprio funzionale non solo appunto a tutela della persona ma anche proprio al funzionamento del mercato digitale. Proprio perché la trasmissione dei dati in cui la portabilità tipicamente si realizza, permette una circolazione dei dati che possono essere utilizzati anche a livello di mercato, anche a livello di attività svolta dai professionisti del mercato in qualunque tipo di settore, e quindi poi è in questo modo la loro circolazione in qualche modo permette di generare ricchezza appunto anche per gli operatori economici e quindi aumentare e favorire la concorrenza nelle dinamiche di mercato. Innanzitutto il primo strumento, la prima estrinsecazione della portabilità è proprio quella della trasmissione, quindi si richiede la trasmissione di dati che sono in capo a un certo titolare, ad un altro titolare. E questo deve avvenire, prevede l’articolo 20 del GDPR, in un modo che sia accessibile, che sia chiaro, che sia strutturato, si dice interoperabile, nel senso che il titolare che trasmette i dati di cui dispone all’altro titolare deve farlo in modo tale che questo titolare possa utilizzare questi dati. Però poi la portabilità in generale è qualcosa che permette effettivamente anche il loro accesso e il loro riutilizzo. Cioè quando trasmetto devo poi permettere al secondo titolare di utilizzarli perché se li trasmetto in un formato per cui poi il titolare che li riceve non li può utilizzare allora non se ne fa niente. Quindi il diritto alla portabilità include in sé non solo la trasmissione ma anche la possibilità di accedervi, di riutilizzarli, di riceverli, di mantenerli, di conservarli. Deve essere reso possibile tutto questo e la ratio appunto è quella di rendere il più semplice possibile la circolazione di questi dati facendo, sempre attenzione alla tutela della persona, perché la loro circolazione permette di favorire la concorrenza sul mercato. L’articolo 20, però, delimita quali sono i dati che possono essere oggetto di portabilità. Innanzitutto non tutti i dati possono essere oggetto di portabilità. In particolare, l’articolo 20 prevede che siano portabili i dati trattati con mezzi automatizzati e la cui condizione di liceità si fondi su un consenso, oppure sulla conclusione di un contratto. Quindi le uniche ipotesi sono queste: la condizione di liceità, quella del consenso e quella del contratto (le lettere a e b dell’articolo 6). Non tutti i dati, quindi, possono essere oggetto della portabilità, innanzitutto per i parametri sopra accennati e poi perché non possono essere oggetto di portabilità i dati che sono stati oggetto di esercizio dell’oblio, proprio perché una volta che sono stati cancellati non sono più nella disponibilità del titolare, né tantomeno possono essere portati, trasmessi, i dati anonimi proprio perché rispetto ai dati anonimi manca quel collegamento tra informazione e persona e quindi non posso pretendere che vengono trasferiti dei dati anonimi. Per il resto, di regola, le rappresentazioni digitali dell’interessato con tutte le informazioni personali che lo riguardano tendenzialmente possono essere trasmesse, addirittura posso trasmettere quei dati che ho generato mediante le mie attività. Quindi se utilizzando un certo sito, ho generato una serie di dati riferiti alle mie ricerche, alla mia navigazione, o i cookie che ho generato, oppure la mia cronologia delle ricerche, oppure ho utilizzato dei dati riferiti alla mia localizzazione, tutti questi dati che ho generato attraverso la mia diretta attività li posso trasferire perché sono stati generati dalla mia attività concreta e diretta. Però, se questi dati sono stati poi utilizzati dal titolare del trattamento in modo da analizzarli e da queste analisi, principalmente l’analisi basata sul calcolo delle probabilità, sono stati generati dei nuovi dati, questi nuovi dati non possono essere oggetto della trasmissione, oggetto della portabilità, proprio perché sono dati analizzati dal titolare, quindi su cui il titolare ha svolto un’attività di analisi, sono i cosiddetti dati inferenziali e i dati derivati, di questi dati non può essere chiesta la trasmissione perché non sono soltanto generati dall’interessato, ma sono rielaborati dal primo titolare in un modo tale che impedisce la trasmissione. Proprio perché sono oggetto di tutta un’attività di lavoro che è stata svolta dal titolare e che in qualche modo, sempre nelle logiche di favore per il mercato, della concorrenza, rappresentano una conoscenza, un vantaggio conoscitivo, un know how che per quel titolare diventa un vantaggio economico sugli altri concorrenti e quindi per il funzionamento del mercato è considerato in qualche modo lesivo poi della sua attività la richiesta della loro trasmissione. Quindi ci fermiamo appunto soltanto ai dati che sono stati generati direttamente dall’interessato.

Altro diritto è previsto all’articolo 21 ed è il diritto di opposizione al trattamento. Il diritto di opposizione si realizza attraverso una dichiarazione di volontà con cui l’interessato esprime appunto la volontà di interrompere il trattamento in via definitiva. Ovviamente al titolare resta la possibilità di dimostrare la mancanza di motivi che giustificano questa interruzione e quindi se riesce a dimostrarlo può procedere nel trattamento. L’articolo 21 prevede in particolare che il titolare si debba astenere dal trattamento dei dati, quindi che debba interrompere il trattamento. A questo punto, è il momento in cui deve astenersi dal trattamento, implicitamente la norma richiede anche che li cancelli, perché, come già detto più volte, la semplice conservazione del dato è di per sé un trattamento (tant’è che abbiamo detto che quando limitiamo il trattamento svolgiamo solo l’attività di conservazione), quindi se si deve astenere dal trattamento, anche la conservazione è un trattamento e quindi è ritenuta in contrapposizione con l’esercizio della opposizione. Quindi l’opposizione dovrebbe includere automaticamente la cancellazione, a meno che il titolare non riesca a dimostrare che non sussistono i motivi per cui il  soggetto interessato può avanzare questo tipo di richiesta. L’opposizione, infatti, si può richiedere solo in due casi e cioè nei casi in cui il trattamento abbia come condizione di liceità le previsioni delle lettere e ed f dell’articolo 6. Le previsioni dell’articolo 6 sono quando il trattamento è necessario per l’esecuzione di un compito di pubblico interesse di cui viene rivestito il titolare e poi la lettera f invece quando il trattamento è necessario per il perseguimento di un legittimo interesse del titolare. Solo quando la condizione di liceità è una di queste due si può esercitare l’opposizione. Ovviamente quando si è in questa ipotesi, poi l’opposizione può essere esercitata in qualsiasi momento e poi starà al titolare dimostrare che la richiesta non può essere soddisfatta perché effettivamente il pubblico interesse nella lettera e e il legittimo interesse del titolare della lettera f, prevalgono sull’interesse dell’interessato e quindi il trattamento può effettivamente continuare, in quanto non ci sono dei motivi validi per ritenere prevalente l’esercizio di questo potere inibitorio, di questo potere di interrompere il trattamento. Quindi per l’interessato, nel caso in cui ci si trovi di fronte alle situazioni previste dalla lettera e ed f, è semplice fare questa richiesta, perché deve semplicemente dire perché vuole avvalersi di questo diritto però poi non deve dimostrare nulla, starà al titolare dover dimostrare che l’interesse dell’interessato è meno rilevante nel bilanciamento che bisogna sempre fare rispetto agli interessi indicati alle lettere e ed f dell’articolo 6, che appunto sono condizioni di liceità del trattamento.