Diritto dei dati – I dati personali dei minori

Minori e privacy. Età del consenso digitale e liceità del trattamento, identità personale, intervento dell’esercente la responsabilità genitoriale. Riferimenti a casi giurisprudenziali.

L’articolo 8 del GDPR riguarda il tema dei dati personali dei minori. Quindi facciamo un focus proprio sui minori di età, i soggetti under 18. È un tema che da alcuni punti di vista può sembrare ovvio, il fatto che si parli di dati personali di minori di età, ma in realtà è una cosa relativamente nuova perché prima del GDPR non era previsto nulla che riguardasse in modo specifico il modo in cui si trattano i dati personali dei minori. È una novità del GDPR, a cui poi ha fatto seguito ovviamente il coordinamento da parte del legislatore italiano con il decreto legislativo 101 del 2018. Però è anche un tema abbastanza nuovo per motivi diversi. Sicuramente quello più immediato è il contesto storico di riferimento di questa normativa, normativa del 2016. Però ovviamente la specifica attenzione ai minori è data dal fatto che negli ultimi anni, nell’ultimo decennio, i minori di età hanno una possibilità di accedere a strumenti, computer, telefoni, tablet e così via, che permettono di trattare direttamente i loro dati personali. Quindi l’esigenza di tutela specifica del minore non più in generale come soggetto da tutelare al pari anche dell’adulto, ma come soggetto da tutelare in modo più specifico e più dettagliato perché proprio per le vulnerabilità che caratterizzano la minore età è necessario apprestare degli strumenti di tutela ad hoc, proprio perché non si può paragonare il minore all’adulto rispetto a quella che è la consapevolezza dell’utilizzo degli strumenti digitali, proprio perché nel nostro ordinamento c’è un’attenzione rispetto al minore in quanto tale, in quanto soggetto che deve godere di una tutela specifica anche dal punto di vista del trattamento dei dati personali. Quindi in qualche modo abbiamo un passaggio dovuto proprio all’utilizzo di quelli che vengono chiamati i nuovi media. Quindi se rispetto al passato, se rispetto al momento storico si tutelava la riservatezza in quanto tale e quindi anche la riservatezza del minore veniva tutelata di fronte all’utilizzo delle figure, riferimenti delle figure dei minori rispetto a quello che poteva essere diffuso sui giornali o in televisione, l’utilizzo dei nuovi media e cioè di tutte quelle tecnologie che utilizzano i dati personali, ha richiesto questa attenzione in più. La logica quando noi parliamo di minori di età è sempre quella di dover prestare attenzione, la massima attenzione al processo di formazione dell’identità personale, mentre per un adulto questa formazione può dirsi conclusa o comunque si può continuare a realizzare in delle modalità che sicuramente sono più consapevoli, il minore è per antonomasia il soggetto la cui identità personale è in divenire, è informazione, è infatti un processo, parliamo di formazione, di costruzione dell’identità personale e il punto di vista che si adotta è che l’utilizzo degli strumenti digitali che i minori utilizzano sia ormai talmente diffuso nella quotidianità del minore che lo può utilizzare per svago, per studio. Pensiamo anche ai tempi pandemici a come il minore più che in altre in altre occasioni era perennemente di fronte ad uno schermo, questo utilizzo sempre più diffuso, pensiamo anche a quanto sempre di più i minori utilizzino gli strumenti tecnologici anche dei genitori o pensiamo a tutti gli strumenti che sono proprio nelle case, tutta una serie di strumenti dell’Internet of Things, tutta una serie di strumenti che i minori hanno a disposizione in modo semplicissimo. Però interagendo con tutti questi strumenti, inevitabilmente, l’utilizzo degli strumenti che sono connessi alla rete e quello che poi è il modo in cui i dati vengono trattati e quindi le risposte che la rete da al minore stesso che la utilizza sono tali da essere in grado di incidere sulla formazione dell’identità personale. Proprio rispetto a questo elemento è necessario prestare delle tutele nuove, un’attenzione nuova. Il tema dell’attenzione alla privacy in senso ampio del minore, comunque, non è completamente nuovo. Perché di privacy del minore si inizia a parlare addirittura nell’89, quindi in tempi abbastanza risalenti, ben prima della diffusione della rete per come la conosciamo oggi, però la Convenzione di New York che è la Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, poi ratificata in Italia nel 91, più o meno in quello stesso periodo, prevede che il minore debba essere tutelato da qualsiasi interferenza arbitraria o illegale nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua corrispondenza, in generale, nella sua privacy. Ricordiamoci che anni 80, anni 90 siamo ancora in una concezione di privacy come riservatezza, principalmente. Quindi il riconoscimento di questa tutela da qualsiasi interferenza arbitraria o illegale, quindi qualsiasi tipo di intromissione dall’esterno che può incidere appunto sulla sua vita privata, sulla sua famiglia, sul suo domicilio, sulla sua corrispondenza e addirittura va oltre perché dice e neppure di affronti illegali contro il suo onore e la sua reputazione, quindi in tutte le varie sfaccettature della riservatezza che abbiamo già descritto, e questa è la disposizione dell’articolo 16 della Convenzione di New York. In più, l’articolo 17, non parlando della riservatezza, però dice che il minore deve essere garantito, il fanciullo anzi dice la convenzione, deve essere garantito rispetto all’accesso ai media e alle tecnologie. Quindi vediamo come pure in un tempo in cui ancora non si parlava di privacy come trattamento dei dati personali distinto dalla riservatezza, abbiamo un’attenzione particolare nei confronti del minore: da un lato dal punto di vista della tutela della sua sfera più intima, dall’altro si cerca di incentivare l’accesso dei minori, dei fanciulli verso l’utilizzo delle tecnologie, del tipo di tecnologie che si potevano creare anche in prospettiva futura. E quindi questa doppia anima da un lato di tutela particolarmente mirata verso la riservatezza, dall’altro questo riconoscimento del minore come soggetto che deve poter accedere alle tecnologie perché è qualcosa che sicuramente può essere utile ai fini del suo sviluppo ai fini della sua crescita. Quindi in qualche modo viene veicolata dalla Convenzione di New York dell’89 un’immagine abbastanza moderna del minore come soggetto che poteva incidere sul proprio processo educativo, formativo, proprio anche attraverso l’utilizzo delle delle tecnologie.

Da un punto di vista di diritto interno, in realtà di privacy del minore non abbiamo per lungo tempo nessun tipo di riferimento. Un riferimento era però presente già nel codice di procedura penale: in particolare l’articolo 114 del codice di procedura penale, in forza del quale si tutelava il minore attraverso un divieto di pubblicazione delle sue generalità e delle sue immagini. Quelli che oggi chiamiamo dati perché sicuramente le generalità di una persona o l’immagine di una persona rientrano nella nozione di dati. Quindi il divieto di pubblicare informazioni come generalità e immagini che ritraessero dei minori che fossero coinvolti in senso ampio da un procedimento di fronte all’autorità giudiziaria penale e quindi che fossero testimoni, persone offese, danneggiati dal reato, insomma qualsiasi tipo di situazione attorno alla quale potesse posizionarsi la figura di un minore rispetto ad un procedimento penale, quanto meno fino al momento in cui non avessero raggiunto questi minori la maggiore età. Quindi una tutela di fronte a insomma alla circolazione delle notizie riferite a determinati procedimenti penali che coinvolgessero dei minori. In un secondo momento il codice della privacy, quindi siamo nel 2003, estende questa stessa tutela che il codice di procedura penale prevedeva rispetto ai procedimenti penali, a qualsiasi altro procedimento di fronte all’autorità giudiziaria. Quindi a livello proprio di riservatezza del minore si ha questa particolare attenzione. Attenzione che tra l’altro era prevista anche all’interno dei codici deontologici di alcune categorie professionali, in particolare il Codice deontologico dell’attività giornalistica che è molto legato ovviamente ai temi dei procedimenti giudiziari. E nel codice deontologico dell’attività giornalistica che è del 96, già si faceva riferimento in particolare all’articolo 7, al fatto che il giornalista, dal punto di vista deontologico, non dovesse procedere alla pubblicazione dei nomi dei minori coinvolti in fatti di cronaca e comunque non soltanto i nomi, qualsiasi tipo di informazione che potesse permettere poi di ricondurre alla sua identificazione. Perché la logica che viene sancita, il principio che viene sancito in questo codice deontologico dell’attività giornalistica è che la riservatezza del minore deve essere tutelata anche quando ci sono delle ragioni che giustificano il diritto di cronaca. Quindi quando si svolge attività di cronaca, attività di critica, comunque bisogna prestare la massima attenzione al minore. Ovviamente tutte queste cose poi sono sì previste nel codice, però poi sono oggetto delle pronunce giurisprudenziali della Cassazione. La Suprema Corte ad esempio nel 2013 si esprime espressamente nel senso di richiedere che nell’ambito dell’attività giornalistica sia doveroso evitare qualsiasi riferimento che possa ledere la riservatezza dei minori. Quindi proprio questa attenzione che anche ovviamente a livello di giurisprudenza si ha sempre rispetto a queste categorie più vulnerabili di soggetti che appunto anche quando si esercita il diritto di cronaca, il diritto di critica è sempre necessario che siano destinatari di una specifica attenzione. A tutto ciò ovviamente non sta attenta soltanto la giurisprudenza ma anche il Garante privacy, in particolare con tutta una serie di provvedimenti, ne riporto uno del 2001, quindi in un tempo anche precedente al Codice della privacy ma successivo al Codice deontologico dell’attività giornalistica del 96, perché proprio già nel 2001, quindi in tempi non sospetti rispetto all’utilizzo, al riconoscimento del diritto alla protezione dei dati personali, comunque si faceva riferimento al diritto alla riservatezza dei minori anche di fronte alle notizie o a fatti di cronaca riportati che riguardano personaggi noti. Quindi anche prima della Cassazione, già il Garante riconosceva l’assoluta necessità di fare attenzione a tutelare i figli anche rispetto a fatti che riguardano soggetti noti nel caso di specie era figlio di un di un parlamentare, perché in tutti questi casi non si deve per far valere il diritto di critica, il diritto di cronaca, non si deve mai perciò affievolire quello che è il diritto alla privacy dei soggetti che sono coinvolti, a maggior ragione appunto se i soggetti in questione sono dei minori. Insomma, già prima del GDPR, per quanto non si facesse riferimento esplicito alla tutela di minori nel trattamento di dati personali, comunque si faceva particolare attenzione a garantire che il minore non subisse delle interferenze idonee ad incidere negativamente, ad impattare negativamente sulla formazione della sua identità personale.

Passiamo quindi al GDPR. Già nei considerando del GDPR sono presenti una serie di riferimenti espliciti ai minori. In particolare, la logica che seguono i considerando è che quando si ha di fronte al trattamento dei dati personali dei minori di età, è necessario rendersi conto che si è di fronte ad un soggetto che è meno consapevole del significato della portata che il trattamento dei suoi dati può avere e dei rischi che quindi ciò può comportare, quindi è necessario prestare attenzione alla sua personalità. Il considerando 38, ad esempio, dice espressamente che i minori meritano una specifica protezione perché sono meno consapevoli dei rischi di Internet. Devono essere particolarmente tutelati da misure di salvaguardia che permettano l’esercizio dei loro diritti di fronte a qualsiasi attività di trattamento dei loro dati personali. In particolare si richiede attenzione di fronte a tutte quelle attività di trattamento dei dati personali che hanno finalità di marketing, oppure che svolgono attività di profilazione del minore, perché ovviamente profilare il minore al fine di rivolgergli, per esempio, delle determinate pubblicità mirate e personalizzate rispetto alle sue preferenze può incidere effettivamente sulla sua sfera giuridica soggettiva e quindi è necessaria una specifica attenzione. Ancora, il considerando 65 fa riferimento all’esercizio del diritto all’oblio e dedica un passaggio anche al minore perché addirittura: dice che il diritto all’oblio è particolarmente fondamentale che sia riconosciuto nei confronti del minore nel momento in cui acquista l’età del consenso digitale, perché potrebbe volerlo esercitare rispetto ad un consenso al trattamento dei dati personali prestato quando era al di sotto della soglia dell’età del consenso digitale e quindi era meno consapevole, sotto quell’età, e quindi una volta che compie l’età del consenso digitale deve riconfermare il consenso già prestato e altrimenti esercitare il diritto all’oblio rispetto ai dati che erano stati trattati, aveva consentito che venissero trattati prima del compimento dell’età per il consenso digitale. Ancora un altro considerando è il considerando 58 che fa riferimento in generale al principio di trasparenza e che quando descrive il principio di trasparenza dice rispetto ai minori è necessaria una particolare protezione, una protezione specifica, perché il minore è meno consapevole e quindi deve ricevere delle informazioni che riguardano il trattamento, che devono essere elaborate in un linguaggio particolarmente chiaro, particolarmente semplice, proprio perché devono essere dei termini che anche il minore possa facilmente comprendere. Insomma già nei considerando troviamo delle linee di attenzione alla figura del minore rispetto all’adulto. Poi vi è la norma che è espressamente dedicata al minore, è la norma di cui all’articolo 8. Già nella rubrica dell’articolo 8 del GDPR, la rubrica è il titolo della norma, dice: condizioni applicabili al consenso dei minori in relazione ai servizi della società dell’informazione. E poi ci sono i tre paragrafi dell’articolo 8 che ci descrivono la disciplina. Innanzitutto si fa riferimento appunto nella rubrica ai servizi della società dell’informazione. Diciamo che la definizione di servizi della società dell’informazione è contenuta in una direttiva del 2015, la 1535 del 2015 dice che i servizi della società dell’informazione sono tutti i servizi prestati a distanza, normalmente dietro una retribuzione e per via elettronica nei confronti di un destinatario dei servizi stessi. Diciamo che in generale sono un po’ tutte le attività che vengono svolte in rete che possono consentire l’accesso alle informazioni o ad attività di comunicazione. Quindi sono servizi della società dell’informazione: la posta elettronica, i social network, le banche dati, le newsletter. Vediamo quindi la norma perché si fa riferimento alle condizioni applicabili al loro consenso. Quindi, innanzitutto parliamo del consenso dei minori. Infatti il paragrafo 1 dice qualora si applichi l’articolo 6, paragrafo 1, lettera a, che è la condizione di liceità del trattamento che si fonda sulla prestazione del consenso. Quindi, innanzitutto, rispetto al minore è fondamentale che ci sia il suo consenso alla luce delle precisazioni che vengono fatte in questo articolo. Allora sempre il paragrafo 1 fa riferimento all’offerta diretta dei servizi della società dell’informazione. Questo riferimento all’offerta diretta vuol dire che la disciplina dell’articolo 8 non si applica a tutti i servizi della società dell’informazione, ma si applica soltanto a quelli che sono offerti in modo diretto ai minori. Quindi se sono il titolare di un trattamento ed esplicito che il servizio che offro è rivolto soltanto ai maggiorenni, allora non sono tenuto ad applicare le regole di quell’articolo 8. Ovviamente nella misura in cui, pur se io lo dovessi esplicitare, questa esplicitazione non venga poi smentita da altri elementi. Per esempio, il fatto che sia un tipo di servizio che per il contenuto che ha è evidente che verrà utilizzato anche da dei minori. Il problema è che il GDPR non ci dà delle precisazioni rispetto a come individuare quali siano gli elementi che possono smentire il fatto che il servizio sia offerto soltanto ai maggiorenni. Da questo punto di vista, quindi, possiamo fare riferimento un po’ al dato comparatistico, possiamo guardare all’esperienza statunitense che è un’esperienza in cui invece vengono espressamente delineati alcuni fattori, alcuni esempi, che sono utili a capire quando un certo servizio sia destinato o meno ai minori di età. E in particolare guardiamo alla disciplina in materia statunitense che è facile ricordare con l’acronimo COPPA che sta per Children’s Online Privacy Protection Act, che è la disciplina statunitense sulla privacy dei minori e che descrive una serie di fattori che ci permettono di capire se il servizio è offerto in modo diretto ai minori o meno, a prescindere appunto da quello che poi il titolare possa sostenere. E questi fattori sono per esempio il contenuto del sito, il tipo di attività che viene svolta su quel sito e il tipo di contenuti che sono fruibili su un certo sito, contenuti audio o contenuti visivi o il fatto che ci siano delle pubblicità che sono rivolte ad un target di bambini o comunque di soggetti minori, o il fatto che all’interno del sito, insomma del servizio, ci siano dei riferimenti a personaggi famosi tra i più piccoli o insomma celebrità che sono facilmente riconoscibili per i bambini o il fatto che ci siano dei modelli o dei soggetti a loro volta di minore età. Quindi,tutta una serie di esempi che effettivamente creano un contesto digitale a misura di bambino o comunque a misura di minore. Tutti questi fattori possono contribuire a ritenere che quel certo servizio sia effettivamente destinato, rivolto a dei soggetti minori. Questo è descritto nella disciplina statunitense, però sono dei parametri, delle linee che effettivamente poi facendo riferimento al dato comparatistico, anche il Garante privacy di qualsiasi Stato europeo o il giudice può sicuramente guardare a questi come esempi utili anche nella propria attività svolta a livello nazionale ed europeo. Siamo di fronte a tutta una serie di possibili contesti in cui effettivamente è necessario, è opportuno garantire queste figure che noi presumiamo essere più fragili, bisognose di tutela rispetto agli adulti, proprio perché su tutte queste piattaforme, su tutti questi siti, su tutti questi servizi che il minore si vede offerto, poi lui stesso può generare dei dati attraverso l’attività che poi realizza nella fruizione di questi servizi, pensiamo all’attività che realizza quando fruisce di un social network, durante un utilizzo di questi servizi, la fruizione di questi servizi genera dei dati personali. Questi dati personali possono poi essere utilizzati dal gestore di questo stesso sito per profilare la loro figura del minore e quindi poi presentare delle pubblicità che possono incidere sulla sua attività, sulla sua formazione.

Il paragrafo 1 fa riferimento all’età di 16 anni, quindi 16 anni per il legislatore europeo è l’età soglia in qualche modo dopo la quale il minore può prestare il consenso. In realtà però, l’ultimo inciso del paragrafo 1 dice che gli Stati membri possono stabilire per legge un’età inferiore a tali fini, purché non inferiore a 13 anni. Quindi, con ciò il legislatore europeo permette agli Stati membri di stabilire al loro interno, quale sia l’età del consenso digitale, l’età del consenso digitale, che però è al massimo individuata in 16 anni o al minimo in 13 anni. E questo è un esempio in cui il regolamento, il GDPR, pur essendo un regolamento, non riesce nell’obiettivo di uniformazione, perché quello che è successo è che tutti gli Stati membri dell’Unione europea hanno scelto età diverse, in alcuni paesi hanno scelto 13 anni, in altri 14, in altri 15, in altri 16. Quindi abbiamo una disciplina che da questo punto di vista è leggermente diversa in base ai Paesi, l’Italia con il decreto legislativo 101 del 2018, che è il decreto legislativo non di recepimento del Regolamento, perché il Regolamento non si recepisce, ma il decreto legislativo che è servito a uniformare la normativa interna con il GDPR. L’articolo 2 quinquies del nuovo Codice, del Codice privacy rinnovato appunto dal decreto legislativo 101, prevede che nel nostro Paese l’età del consenso digitale sia 14 anni. Quindi vuol dire che il minore ultraquattordicenne potrà prestare il consenso. Quindi in Italia l’età del consenso digitale è quella di anni 14. Il minore ultraquattordicenne presta il consenso, il minore infraquattordicenne, quindi più piccolo di 14 anni (paragrafo 1), dice che il trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui il consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale (noi tutto l’articolo 8, laddove indica l’età di anni 16, lo dobbiamo rileggere come se al posto di 16 ci fosse scritto 14). Quindi il trattamento dei dati personali del minore è lecito ove il minore abbia almeno 14 anni, ove il minore abbia un’età inferiore a 14 anni il trattamento è lecito solo e nella misura in cui tale consenso sia prestato, autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale. Ovviamente le due situazioni richiedono una serie di considerazioni. Partiamo dal minore ultraquattordicenne, quindi il minore che presta il consenso in modo autonomo. Ovviamente questa l’abbiamo chiamata età del consenso digitale perché la regola che conosciamo tutti è che il minore in realtà, proprio perché minore non abbia una capacità d’agire, perché la capacità di agire, l’articolo 2 del Codice civile dice che viene raggiunta al raggiungimento della maggiore età. Quindi questo vuol dire che il consenso digitale si pone come strumento di esercizio della propria capacità in un’ottica di eccezione rispetto alla regola. Quindi la regola è che la capacità di agire si acquisisce, la capacità di agire è la capacità di incidere sulla propria sfera giuridica soggettiva, si acquisice ai 18 anni. Però questa prestazione del consenso si pone appunto come eccezione rispetto alla regola. E in realtà non ci sono grossi problemi nel considerare il fatto che ci siano delle eccezioni alla regola, perché da questo punto di vista il GDPR non ha introdotto una regola completamente nuova o diciamo inaspettata, perché nel codice civile, ma anche in leggi speciali, ci sono tutta una serie di riferimenti che riconoscono la necessità del minore di autodeterminarsi e quindi rispetto a specifiche situazioni conosciamo la possibilità che il minore incida in tutto ciò che riguarda un po’ le estrinsecazione della propria personalità. Quindi, insomma, ci sono già una serie di riferimenti nel nostro ordinamento che anticipano la capacità del minore di autodeterminarsi, quindi ecco da questo punto di vista non è una cosa totalmente nuova però appunto dobbiamo tenere conto del fatto che è una eccezione, un aspetto comunque particolare. Per quanto riguarda invece il minore infraquattordicenne, lì è necessaria una attenzione in più perché è vero che sicuramente non si vuole in nessun modo impedire l’accesso alle tecnologie che utilizzano i dati da parte dei minori infraquattordicenni però è necessario che questo incentivo all’utilizzo delle tecnologie o comunque questa anche inevitabilità dell’utilizzo di tecnologie da parte dei minori sia appunto realizzata in un modo che presti la massima attenzione al fatto che siamo di fronte a dei soggetti più vulnerabili; sempre nella logica per cui per il nostro legislatore fino ai 14 anni è necessario stare più attenti rispetto al processo di formazione dell’identità personale. Ecco quindi che l’articolo 8 dice che il trattamento dell’infraquattordicenne è lecito solo se e nella misura in cui è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale. Allora innanzitutto con titolare della responsabilità genitoriale non includiamo soltanto il genitore ma chiunque svolga la responsabilità genitoriale per il minore, quindi anche per esempio il tutore, quindi va inteso in un senso ampio. Ci concentriamo sui verbi prestato e o autorizzato, perché sembrano sinonimi, però vanno interpretati in un modo diverso. Quindi prestato ci dice l’ipotesi in cui il rappresentante legale del genitore manifesta egli stesso una volontà positiva al trattamento dei dati. Quindi è come in questo caso della prestazione il genitore o comunque il tutore, colui che esercita la responsabilità genitoriale, in qualche modo si va a sostituire, in questo caso nell’attività di prestazione il consenso quindi è direttamente l’esercente la responsabilità genitoriale che presta il consenso per il minore. Invece autorizzato lo dobbiamo leggere in un modo diverso, autorizzato è quindi la situazione in cui il minore presta il proprio consenso direttamente, però ai fini del trattamento è necessario che il consenso del minore venga integrato o comunque confermato dall’esercente la responsabilità genitoriale proprio perché è una sorta di autorizzazione rispetto al consenso che il minore ha prestato in un’iniziale diciamo autonomia. Ovviamente qual è il problema, che tutta questa bella regola si scontra un po’ con la realtà, perché nella realtà è facile immaginare che un minore che utilizza autonomamente gli strumenti digitali sia in grado di aggirare il consenso o comunque la partecipazione del genitore, perché il minore conferma magari che il genitore è d’accordo semplicemente al posto del genitore, il genitore nemmeno sa di questa prestazione del consenso e non ha nemmeno modo di controllarlo, quindi diciamo la questione che si pone è come assicurarsi che questa regola rispetto all’infraquattordicenne venga rispettata.

Qui subentra il principio di accountability del titolare. È il titolare ad essere responsabile per fare di tutto affinché effettivamente vengano rispettati i requisiti della norma. Come fa a fare di tutto, ovviamente come al solito alla luce delle tecnologie a disposizione, dovrà realizzare, dovrà predisporre delle misure necessarie idonee a garantire che la regola venga effettivamente applicata. Quindi c’è proprio l’obbligo del titolare seppure non sia scritto espressamente nell’articolo 8 però in virtù del principio dell’accountability, di responsabilizzazione del titolare, riconosciamo, individuiamo questo dovere del titolare di adoperarsi al meglio in ogni modo ragionevole, quindi sempre anche nel rispetto della proporzionalità, affinché sia possibile verificare che il consenso sia stato prestato o autorizzato da un esercente la responsabilità genitoriale, quindi sostanzialmente che il minore non abbia prestato il consenso senza che il genitore ne sia a conoscenza. Anche qui, piccolo problema: ricaviamo questo dovere del titolare, ma al titolare non vengono date delle linee per rispettare o comunque per sapere in modo definitivo come è giusto adoperarsi. E quindi anche qui, proprio perché il GDPR su questo è lacunoso, possiamo ricorrere al dato comparatistico, riguardiamo di nuovo alla disciplina statunitense che anche rispetto a questo è più completa. Abbiamo tutta una serie di esempi che ritroviamo nella disciplina degli Stati Uniti. Per esempio il titolare può adoperarsi fornendo dei moduli da compilare, quindi il genitore deve compilare un modulo, deve riempire delle caselle da cui effettivamente poi fornisce in modo diretto il consenso al trattamento dei dati da inviare magari via mail o da compilare in un form al momento della registrazione su un certo servizio. Un altro esempio può essere che il genitore debba dare conferma attraverso l’indicazione delle generalità di una carta di credito, oppure che debba fare un collegamento web, quindi una videochiamata attraverso la quale presti effettivamente il consenso. O ancora vengono applicati degli strumenti di riconoscimento facciale attraverso la somministrazione, l’upload di una fotografia. Oppure il genitore può caricare un documento, la fotocopia del documento. Oppure ancora rispondere a specifiche domande. Insomma, tutta una serie di possibilità attraverso cui il titolare può far sì che sia il più vero possibile, il più quasi sicuro possibile che il genitore sia effettivamente partecipe alla prestazione di questo consenso. Rimanendo sul GDPR, quello che possiamo dire è che sicuramente qualsiasi richiesta venga fatta al titolare che risponde del principio di responsabilizzazione, però d’altra parte facciamo sempre valere anche il principio di proporzionalità, quindi il titolare sarà chiamato a predisporre le misure più idonee possibili però sempre sempre all’interno di un approccio proporzionato. Quindi in base a quelli che sono i rischi per il minore che il trattamento porta con sé, dovrà predisporre delle misure più o meno elastiche. Quindi se si tratta di una situazione a basso rischio, magari una conferma via e-mail o di compilazione del form della registrazione è più che sufficiente. Invece se si tratta di attività di trattamento ad alto rischio, allora magari può essere richiesta quella misura più stringente, più complicata, che dia maggiori certezze del fatto che il genitore abbia partecipato. Quindi sempre un approccio al rischio, che in base alla valutazione del rischio che il minore in questo caso corre rispetto al trattamento dei suoi dati, ricordiamoci sempre che la misura della gravità del rischio la stabilisce il titolare stesso, poi però sarà responsabile della sua valutazione nel caso in cui non sia corretta, e poi predisporre le misure che alla luce di queste considerazioni vengono considerate più idonee. Ovviamente i problemi permangono perché resta il fatto che se il metodo di verifica del consenso genitore è troppo blando, allora il minore magari riesce ad aggirarlo, così come se è troppo stringente pensiamo a quelle riguardanti il caricamento della carta di credito, che è un metodo particolarmente difficile per il minore, magari da aggirare, allora lì il problema che si pone è che possano essere magari limitate le possibilità del minore di accedere al servizio perché un genitore sicuramente è più restio dal lasciare i dati della sua carta di credito su un certo sito che poi magari utilizza il minore stesso. Quindi da un lato il rischio di aggiramento del minore, dall’altro il rischio che il consenso non venga prestato, però un bilanciamento poi di volta in volta da fare in relazione al caso concreto perché la logica per quanto poi ci sia questo rischio è comunque che bisogna sempre bilanciare da un lato il diritto del minore ad accedere ai servizi digitali, dall’altro però l’esigenza della sua sicurezza e in questo ovviamente il ruolo del titolare della responsabilità genitoriale è fondamentale. Peraltro teniamo comunque conto del fatto che questa regola riguarda gli infraquattordicenni, quindi comunque dal compimento del 14º anno poi il minore può intervenire direttamente.

Peraltro anche rispetto al modo in cui intervengono i genitori si pongono delle questioni, in particolare i genitori devono essere per forza d’accordo? O basta la volontà di uno dei due? Per esempio questo è un altro tema che si pone in realtà ben prima del discorso specifico sul trattamento dei dati personali perché è un tema che si è posto in generale rispetto alla pubblicazione delle immagini dei minori. E su questo la giurisprudenza più risalente era effettivamente più incline a riconoscere il fatto che bastasse la volontà di uno. Un esempio antecedente ovviamente le dinamiche social è quello trattato da una Cassazione del 2006, in particolare la 21172 che era riferito a una domanda di risarcimento dei danni che la madre di un minore avanzava nei confronti dell’altro genitore perché questo genitore, personaggio noto, aveva portato i figli con sé in spiaggia, con la nuova compagna e le fotografie della giornata in spiaggia erano state pubblicate da dei giornali. La nuova compagna in particolare era un personaggio televisivo e in queste fotografie risultava in topless. La madre agisse per risarcimento dei danni provocati nei confronti della propria dignità e della dignità del minore che risultava essere state lese da questa pubblicazione. La Cassazione invece diceva che la partecipazione, la volontà del genitore che aveva permesso che queste foto venissero scattate era sufficiente ad integrare la volontà necessaria alla pubblicazione anche delle immagini dei minori in queste fotografie e che quindi la domanda di risarcimento del danno che la madre aveva avanzato andava rigettata. Un secondo esempio un po’ più recente e che si va più diffondendo è quello per cui si richiede la volontà congiunta dei due genitori. Da questo punro di vista citiamo una ordinanza del Tribunale di Mantova del 2017, che è stata particolarmente studiata e commentata perché è stata una ordinanza abbastanza rilevante, perché qui, per la prima volta, c’è questo cambio di passo un po’ più netto della giurisprudenza, che poi è stato seguito anche da sentenze successive di altri tribunali. In questo caso invece entrando in gioco lo specifico aspetto dei social network (che invece nel caso di prima non c’era perché abbiamo detto che era del 2006), e con riferimento specifico ai social network, invece, la Corte, il giudice mantovano si è pronunciato nel senso di ritenere fondamentale la partecipazione di entrambi i genitori. Il caso qui era quello di genitori tra loro separati, ma con un affido condiviso dei figli minori e nell’accordo di separazione addirittura i genitori avevano scritto di non ammettere la pubblicazione delle foto dei figli su Facebook o comunque i social network. La madre in particolare, si impegnava a non farlo, tuttavia non rispettava questo impegno che era stato preso nell’accordo di separazione e quindi non solo continuava a pubblicare foto dei figli su Facebook, ma nemmeno aveva rimosso quelle che aveva già postato come con il marito si erano detti. Quindi il marito, il padre dei bambini d,ei figli minori, si rivolgeva al giudice chiedendo di inibire questa attività che la moglie continuava a porre in essere e a obbligare alla rimozione delle immagini già pubblicate. Il tribunale dà pienamente ragione al padre. Conferma questa richiesta del padre e il tribunale mantovano in questa ordinanza appunto del 2017 afferma proprio l’imprescindibilità del consenso di entrambi per la pubblicazione delle foto, perché la logica è che la circolazione delle foto dei minori su internet, in particolare i network, è una pubblicazione che non è fine a se stessa, perché nel momento in cui ho posto la foto di mio figlio minore non la sto pubblicando su internet e poi ho la certezza che la posso vedere solo io. Ma il giudice afferma che nel funzionamento dei social network, nel funzionamento della rete è implicita la pericolosità, è implicito il rischio per il minore dato dal fatto che la circolazione dell’immagine poi è incontrollabile. Un’immagine, una volta che viene postata effettivamente, poi può circolare, può giungere anche a dei soggetti sconosciuti che la possono utilizzare in qualsiasi modo. Quindi la pubblicazione dell’immagine del minore è in sé potenzialmente lesiva, potenzialmente rischiosa, potenzialmente pregiudizievole e quindi la soglia di accettabilità della pubblicazione richiede il consenso di entrambi, quindi senza il consenso di entrambi non è possibile, perché il rischio è talmente elevato che è più opportuno evitare questa combinazione.

Altro esempio, Tribunale di Rieti che è di poco successivo perché del 2019 però questa è una sentenza e non ordinanza e qui siamo di fronte ad una situazione invece di genitori separati in cui il padre aveva una relazione con un’altra donna. Questa donna stessa postava le foto dei figli del compagno, figli minori su Facebook e su determinati social e la madre di questi bambini interveniva per richiedere la cancellazione. E anche il giudice di Rieti ha fatto riferimento allo stesso identico principio sancito dal giudice mantovano due anni prima, perché proprio si sancisce la necessità di questa attività condivisa da parte dei genitori perché la diffusione e la circolazione delle immagini sui social network va considerata potenzialmente lesiva. Questa tendenza rientra perfettamente in quello che è in generale la disciplina del rapporto tra genitori e figli, perché il principio che regola l’attività dei genitori nei confronti dei figli, guardiamo gli articoli 315, 315 bis del codice civile, ci dicono proprio che i genitori devono sempre realizzare nei confronti dei figli attività che siano volte a rispondere a quelle che sono le inclinazioni dei figli, le volontà dei figli. La volontà del figlio deve essere presa in considerazione. Quindi anche la volontà del figlio capace di discernimento può essere considerato dal giudice anche nel caso di disaccordo dell’altro genitore. Però sono tutte situazioni che vanno viste nel caso concreto, ciò che occorre è che di fronte allo scontro tra l’esercente la responsabilità genitoriale interviene il giudice e il giudice quando deve decidere rispetto a delle vicende dei fatti che riguardano un minore deve sempre valutare il principio che è riconosciuto a livello ONU del “best interest of the child“. La logica è sempre quella di prendere una decisione che nel caso concreto sia in grado di soddisfare i migliori interessi del minore i best interest of the child. Un esempio in tal senso,sempre di merito, è una decisione del giudice romano in questo caso, in cui c’era uno scontro tra madre e figlio, quindi non tra i genitori ma tra madre e figlio, perché il figlio si scontrava con la madre in quanto questa pubblicava continuamente immagini su Facebook del figlio minore, non solo pubblicava le immagini, ma pubblicava anche post quindi per iscritto in cui descriveva che il figlio aveva determinati problemi e aveva determinate questioni per cui non stava bene e pubblicava tutto ciò su Facebook. Il figlio si rivolgeva quindi al giudice e il giudice riteneva effettivamente di dover intervenire rispetto a questo comportamento della madre perché andava a considerare il comportamento della madre come tale da incidere in modo potenzialmente irrimediabile sul rapporto tra madre e figlio. In particolare, il figlio chiedeva anche che gli venisse consentito di andare a studiare all’estero per allontanarsi dalla madre per tutto il malessere che gli aveva provocato questo suo attivismo sui social e il giudice effettivamente accoglieva la richiesta del figlio sostenendo che il rapporto madre figlio era talmente compromesso dall’utilizzo dei social da parte della madre che solo attraverso l’allontanamento magari si sarebbe potuto ristabilire. Insomma il ruolo del giudice da questo punto di vista è molto importante e sempre deve andare a verificare le situazioni del caso concreto.

Chiudendo sul tema del consenso, il considerando sul diritto all’oblio torna a questo punto del discorso perché rispetto al minore infraquattordicenne il cui consenso viene prestato o autorizzato dal genitore, dobbiamo tenere conto che al compimento dell’età del consenso digitale il minore deve avere la possibilità di confermare quel consenso o altrimenti esercitare il diritto all’oblio rispetto al consenso precedentemente prestato. Proprio perché la logica è che una volta compiuta l’età del consenso digitale, deve essere lui personalmente a prendere una decisione rispetto alla liceità del trattamento dei dati personali. Infatti tornando all’articolo 8, al testo dell’articolo 8, il riferimento è che il trattamento è lecito, le condizioni sono proprio quelle di liceità che richiedono la partecipazione diretta dell’interessato una volta che giunge all’età del consenso digitale.

Ultimo aspetto, il paragrafo 3 dell’articolo 8 che ci dice che il paragrafo 1 (quindi quello riferito alla prestazione, alla liceità del trattamento) non pregiudica le disposizioni generali di diritto dei contratti e questo è un aspetto importante perché il porre un’età del consenso digitale sotto la maggiore età è qualcosa che si pone come eccezione rispetto alla regola e la conferma che sia un’eccezione in realtà, la da lo stesso paragrafo 3 proprio perché dice che questa previsione dell’articolo 8 non incide, non intacca sulle regole, sulle norme degli Stati membri. Quindi tutte le regole che gli Stati membri abbiano rispetto alla validità, all’efficacia di un contratto, non sono minimamente intaccate da questa previsione. Quindi qui cosa succede, succede che poi di volta in volta bisognerà far interagire le norme di diritto dei contratti con le norme sulla protezione dei dati personali, laddove le due debbano essere applicate in un medesimo contesto, perché potremmo essere di fronte ad una situazione in cui il minore ha l’età del consenso digitale, perché magari a 15 anni, però, non avendo raggiunto la maggiore età, non può stipulare un contratto valido. Quindi potremmo essere di fronte ad una situazione in cui il trattamento dei dati personali è lecito, però il contratto a cui il trattamento afferisce è un contratto annullabile perché il rimedio previsto per il contratto stipulato da minori di età è l’annullabilità. Quindi, di fronte all’eventuale annullamento, perché l’annullamento non è automatico, l’annullamento deve essere chiesto dall’interessato entro cinque anni da quando è stipulato il contratto, siamo di fronte a quelle situazioni in cui effettivamente potremmo avere un contratto annullabile, ma un consenso validamente prestato, quindi un trattamento di dati personali è lecito. Ecco, in questi casi l’interazione fra le due discipline ovviamente sarà tale che, in caso di annullamento del contratto, appunto perché stipulato dal minore di età, nell’eventualità di annullamento del contratto allora automaticamente dovrà cessare anche il trattamento di dati personali che da quel contratto dipende, proprio perché non toccandosi le regole sulla esecuzione, l’efficacia e la validità dei contratti stipulati dai minori, sarà necessario poi di volta in volta far interagire le due discipline.